Una discesa dalla Piramide (vedi nota a piè pagina)

Kathmandu,
Sono le 5:30 e dovrei sentire normale cercare il sonno e continuare a dormire, ma sono a Kathmandu' ed il calore insolito delle colline prehimalayane mi spinge a pensare al motivo per cui sono qui.
Da due giorni ho lasciato Lobuche, dai 5000 m della Piramide ho appena visto la prima pioggia della stagione calda abbastanza per stupirmi, poi' stato un rincorrersi di sensazioni lungo la valle del Khumbu. A Tukla, 4600 m ho appena salutato la Didi', il suo bel viso ha perso molto della freschezza giovanile, ora e' una sherpani forte e sporca come deve essere, ma quando mi vede ha un piccolo raggio di luce negli occhi, credo non dimentichera mai quella notte in cui partori' un piccolo sherpa col cordone ombelicale attorno al collo, e dovette fare tutto da se', in 3-4 ore, e le vitamine che le diedi per riaversi. Il torrente che fuoriesce dalla poderosa lingua del ghiacciaio del Khumbu e' divenuto grigio e inquieto, ha perso il rispetto per il ponte, e devo attraversarlo su alcuni tronchi che la corrente allaga a tratti.
Raccolgo alcuni campioni di licheni sopra la forra di Pangboche mentre arriva l'oscurita', le foglie si protendono alla fresca umidita' della sera, i licheni sui tronchi ne sono impregnati rendendo piu facile il mio compito. Dopo piu' di un mese a 5000 m considero gli alberi e la foresta una benedizione della natura, i loro aromi una droga preziosa, sto' scendendo verso la vita.
Mi fermo per la notte in una casa illuminata da una flebile luce a kerosene, l'impianto idroelettrico di Tyangboche e' ancora in avaria. La donna sherpa insiste nel darmi la pila, ha un grande incisivo sporgente che lancia preoccupanti ombre, ma e' una persona di grande generosita'. Nel suo lodge a Deboche, Health Post dell'Himalayan Trust, ha gia' salvato la vita di diverse persone e continua a farlo con la semplicita' di sempre ed un po di fortuna, non ha telefono ne' radio con l'ospedale di Kunde, chissa' se comprende a fondo la grande responsabilita che le e' stata affidata con cosi pochi mezzi.
Scivolo in una mattina uggiosa nell'affascinante foresta di rododendri arborei tra Deboche e Tyangboche, altri licheni ed un'umidita' fitta, a meta' collina devo usare l'ombrello. Piu' avanti incontro la donna francese di cui mi ha' parlato la sherpani, l'edema polmonare le permette appena di camminare a rari passi incespicando, non mi chiede niente, la sorpasso stupito dalla sua lentezza, poi mi fermo. Le voci che escono dal mio walkie-talkie la rincuorano, ma ne' Lobuche ne' Syangboche riescono a parlare con l'ospedale di Kunde, le 166 nuove linee telefoniche distribuite nei villaggi al centro del mondo sherpa del khumbu, hanno portato al collasso il centralino ed il ponte radio che collega Namche e gli altri villaggi al mondo esterno. Così come avrei dovuto fare 10 anni fa, prima del telefono nel Khumbu, e come è sempre stato fatto in questi casi, mando un portatore con un messaggio per l'ospedale. Lascio la donna col suo sherpa a breve da Sanasa dove incontrera' i medici volontari di Kunde.
La pioggia riprende ancora nella sera mentre esco dal cancello di accesso del Parco dell'Everest, non ho piu niente di asciutto, ed attendo ad usare la pila per le ore notturne.
Nella zona di Benkar il sentiero attraversa delle piccole sorgenti, in alcuni punti è una colata di fango appena trattenuta dalle pietre rimosse dagli yak. Scivolo nella terra nera e densa sentendomi un tutt'uno con il fango odoroso e la notte, poi mentre le mani infangate lentamente si lavano con la pioggia, arrivo a Phadking. Non è la solita sherpani che mi appare, ma il suo personale di cucina mi riconosce. Non vogliono che continui nella notte, nella loro tradizione ritengono possibile l'incontro con spiriti maligni, penso che abbiano ragione, anche se ho gia' passato tanto tempo con la sola compagnia dell'oscurita' su questi sentieri. Ma hanno ragione, domani con la luce non manchero' l'appuntamento col picccolo twin-otter a Lukla.
La mattina presto scivolo fuori dal lodge in un torpore appena mitigato da un sorso di te e qualche biscotto. Devo usare la pila, ma vado verso il giorno, e qualche luminescenza appare tra gli squarci delle nuvole. I tramonti e le albe sono rapidi a questa latitudine, e se i primi preoccupano i viandanti notturni, questa volta appartengo alla seconda, piu' favorita categoria.
Lukla è destata dai caratteristici sibili di avvio delle turbine di un MI17 alle 6:00, lo sgraziato enorme insetto volante russo sporge dalla rustica torre di controllo, le sue cinque pale feriscono l'aria creando una serie di scie elicoidali di vapore. In breve il mostro è volato via ed i viottoli di Lukla ritornano al lento riprendersi dell'attivita' quotidiana tra tetti di paglia fumanti, donne e bambini che si affacciano alle porte, rifiuti e sterco bagnato.
Le grandi nuvole premonsoniche controllano l'accesso a Lukla, un loro capriccio ed i piccoli arei non possono venire o tornare dalla pista in terra battuta. Cio' e' successo per quattro giorni, nel crescente disappunto della folla di alpinisti, trekkers e sherpa che si sono accalcati all'areoporto.
Per cio' che mi riguarda ho troppa armonia con questa terra e questi posti per provare preoccupazione per il mio volo. So' che ho un'altra missione importante a Kathmandu e che probabilmente le divinita' del Khumbu parteggiano per questa.
Pago il cheese toast a Dawa prima di salire i gradini della scaletta del twin-otter, la cabina è piena, la fusoliera risuona al massimo dei motori, i carrelli sbattono sempre meno violentemente man mano che ci avviciniamo al termine della pista in discesa, poi una sensazione di morbidita' conferma che siamo in volo, i piloti virano decisamente per evitare l'altro versante della valle e siamo tra gli eleganti cumuli di vapore sulla rotta per Kathmandu.

PeterPyr

 

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